TRASGRESSIONE: UZMA ASLAM KHAL

La trasgressione in un paese come il Pakistan, un amore che va contro gli eterni conflitti tra tradizione e ribellione, sommossa, legge e cuore. La storia di “Dia” nel ricordo di suo padre Mr. Mansoon in quella terra “florida in natura” quella stessa terra in cui il corpo straziato di suo padre viene trascinato dall’Indo, da una riva all’altra dei villaggi lungo il fiume. La terra in cui i resti crivellati di pallottole di suo padre sono tratti a riva dal fiume come un frutto marcito. Dove gli anziani con i bastoni che affondano nella melma del fiume raccontano che quello è il mondo dove le disgressioni portano tutte alla stessa via. Ma Dia vuole alzare la sua voce, come la stessa madre implora per una vita fatta d’amore. Una voce che risuona come una corda impazzita in un mondo che suona da secoli tutt’altra canzone.

Dia era seduta sull’erba, con la schiena appoggiata al gelso dove suo padre si era rifugiato la notte precedente alla sua morte.
Aveva in grembo un libro con i racconti e le immagini che aveva amato. Sopra di lei gravava un cielo plumbeo, che si strofinava contro il cancello presidiato dalle guardie armate. Qualche giorno prima aveva cominciato a scrivere la propria versione della storia dell’imperatrice Hsi-Ling-Shih, fondatrice della sericoltura.

Un tempo un tessuto era prezioso quanto il petrolio e gli uomini si spingevano a distanze altrettanto assurde per comprarlo.

Ma decise di cancellare la frase. Non era suo compito fermare l’orologio per il greco torturato, o per i tessitori bengalesi e di Benares, né di fermarsi sul Mar Caspio, duemila anni prima, e vedere i soldati romani fuggire davanti ai parti. I parti tessevano stendardi di seta e i romani fuggirono, perché qualcosa di così fine poteva essere soltanto opera di stregoneria. Tutto questo avrebbe potuto ricostruirlo qualche altra volta.

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