RENOIR : ANTICIPAZIONE DI UNA MOSTRA DEDICATA AL PERIODO DEL SUO SOGGIORNO IN ITALIA

L’Impressionismo, che pur lo aveva affascinato, comincia a non convincerlo più. E per trovare nuove strade, l’allora quarantenne Pierre Auguste Renoir decide di guardare indietro, alla grande arte italiana.

Verso la fine degli anni Settanta del XIX secolo, Renoir è scosso da una profonda inquietudine creativa, che lo induce a intraprendere, nel 1881, un viaggio in Italia: un tour che ebbe inizio a Venezia, dove l’artista fu colpito da Carpaccio e Tiepolo (mentre già conosceva bene Tiziano, Veronese, ammirati e studiati al Louvre), e che proseguì per brevi tappe a Padova e a Firenze, per trovare una meta fondamentale a Roma. Qui fu travolto dalla forza della luce mediterranea e sviluppò un’ammirazione per i maestri rinascimentali, in primis per Raffaello, di cui apprezzò, per la loro mirabile “semplicità e grandezza”, gli affreschi della Villa Farnesina. Un’ulteriore tappa del viaggio fu il golfo di Napoli: qui Renoir scoprì le pitture pompeiane, fu rapito dalla bellezza dell’isola di Capri, e quasi soggiogato dai capolavori antichi esposti al museo archeologico. Infine andò a Palermo, dove incontrò Richard Wagner e lo ritrasse in un’opera divenuta famosa (ma non si può dire che fra i due scoccò la scintilla: anzi, il compositore gli concedette soltanto quarantacinque minuti di posa e non rimase molto soddisfatto del dipinto).

Renoir e l’Italia”, curata da Paolo Bolpagni e promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, ripercorre quel pellegrinaggio italiano di Renoir e soprattutto ne indaga le rivoluzionarie conseguenze.
“Fondendo la lezione di Raffaello e quella di Jean-Auguste Dominique Ingres, il pittore recupera un disegno nitido e un’attenzione alle volumetrie e alla monumentalità delle figure, nel segno di una sintesi che, come si anticipava, enucleò una personale forma di classicismo, mentre le tendenze dominanti viravano verso il Postimpressionismo da una parte e il Simbolismo dall’altra”, sottolinea Paolo Bolpagni.
Anche attraverso il fil rouge del racconto biografico del figlio Jean, celebre regista, la mostra si focalizza su questa fase della produzione di Renoir: dal viaggio in Italia sino alle opere della vecchiaia. Ponendo in risalto l’originalità di un’arte che non fu affatto attardata, ma che costituì uno dei primi esempi di quella “moderna classicità” che sarebbe poi stata perseguita da molti pittori degli anni Venti e Trenta, in particolare in Italia, come sarà evidenziato dai confronti – alcuni dei quali insospettabili – che saranno istituiti nelle sale di Palazzo Roverella.

Dipingendo in un possente stile neo-rinascimentale, dove i toni caldi e scintillanti mutuati dal tardo Tiziano e da Rubens, così come dai settecenteschi Fragonard e Watteau, si coniugavano con i riferimenti a un’iconografia mitica e classicheggiante, Renoir – sottolinea Paolo Bolpagnianticipava il “ritorno all’ordine”: un aspetto della sua produzione che non è stato sufficientemente messo a fuoco in tale prospettiva, giacché quella che superficialmente è apparsa a molti un’involuzione era, in realtà, una premonizione di molta della pittura che si sarebbe sviluppata tra le due guerre”.

Pierre-Auguste Renoir, Portrait d’Adèle Besson, 1918, olio su tela, 41 x 37 cm, Musée des Beaux-Arts et d’Archéologie di Besançon

Fu la musica, più che la pittura, a segnare l’infanzia di Pierre-Auguste Renoir (Limoges, 25 febbraio 1841 – Cagnes-sur-Mer, 3 dicembre 1919). Entrato nel coro della chiesa di Saint-Sulpice, cantò sotto la direzione del grande compositore Charles Gounod, che credeva fermamente nelle possibilità vocali del ragazzo. Solo più tardi giunse alla scoperta della pittura en plein air che lo condusse all’approdo impressionista. È questa la fase di Renoir più nota al grande pubblico. In realtà, a ben vedere, si trattò di una fase piuttosto breve, caratterizzata anche da una certa disparità di vedute con Monet, Pissarro e Degas. A superare ogni crisi giunse il viaggio in Italia. Dopo il quale nulla sarà come prima.

Commento di Cristina Rossello: “Una lettura – che ci può aiutare a comprendere meglio questa mostra di Renoir – ci è stata tramandata dal figlio Jean nel libro Renoir mio padre (Garzanti, 1962). Il figlio descrive il padre in questo modo: “Mio padre aveva qualcosa di un vecchio arabo e molto di un contadino francese, con la differenza che la sua pelle, sempre protetta dal sole per la necessità di tenere la tela fuori dai riflessi ingannatori, era rimasta chiara come quella di un adolescente. Quel che colpiva gli estranei che s’incontravano con lui per la prima volta erano gli occhi e le mani […]. O forse si trattava di una maschera; era infatti estremamente pudico e non voleva che il prossimo si accorgesse dell’emozione, pari a quella che altri uomini provano nel toccare o nell’accarezzare, che lo assaliva al solo guardare i fiori, le donne o le nuvole in cielo. Aveva le mani deformate in maniera spaventosa; i reumatismi avevano fatto cedere le articolazioni ripiegando il pollice verso il palmo e le altre dita verso il polso. I visitatori non abituati a quella mutilazione non riuscivano a staccarne gli occhi; la reazione ed il pensiero che non osavano formulare era questo: ‘Non è possibile. Con delle mani simili non può dipingere questi quadri; c’è sotto un mistero!’”.

25 Febbraio 2023 – 25 Giugno 2023 Rovigo, Palazzo Roverella

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