SEBASTIAO SALGATO AL CASTELLO ARAGONESE DI OTRANTO: UNA MOSTRA CHE SIGILLA L’AMORE PER LA SUA TERRA

Un viaggio tra le bellezze di Otranto in Puglia e dintorni. E’ il caso della mostra “Altre Americhe” di Sebastião Salgado allestita  nelle sale del Castello Aragonese di Otranto. Curata da Lélia Wanick Salgado, promossa dal Comune di Otranto e organizzata da Contrasto, resterà visitabile fino al 2 novembre 2022.
Altre Americhe è il primo grande progetto fotografico di  Sebastião Salgado, rientrato nella sua terra natia, il Brasile, dopo anni trascorsi in Europa. Un reportage fotografico che realizzò quando dopo anni di i tra il 1977 e il 1984, percorrendo un intero continente e cercando di cogliere l’essenza di questa terra.
Come ha affermato Salgado stesso, “quando ho cominciato questo lavoro, nel 1977,  il mio unico desiderio era ritornare a casa mia, in quella amata America Latina […]. Armato di tutto un arsenale di chimere, decisi di tuffarmi nel cuore di quell’universo irreale, di queste Americhe latine così misteriose, sofferenti, eroiche e piene di nobiltà.
Questo lavoro durò sette anni, o piuttosto sette secoli, per me, perché tornavo indietro nel tempo”.

“Siamo veramente felici di ospitare una mostra di Sebastião Salgado, considerato uno dei più grandi fotografi contemporanei a livello mondiale – sostiene Pierpaolo Cariddi, sindaco di Otranto. Le sue foto in bianco e nero mostrano il suo progetto di vita e documentano i cambiamenti ambientali, economici e politici degli ultimi decenni.”

Ecuador, 1982 © Sebastião Salgado/Amazonas Image

In esposizione a Otranto, per la prima volta 65 opere di tre diversi formati. L’intensità delle fotografie in bianco e nero, la loro potenza plastica, hanno confermato per il mondo intero la nascita di un grande fotografo e un narratore del nostro tempo: Sebastião Salgado.
Come ha detto Alan Riding, del New York Times, “Le fotografie di Salgado catturano di volta in volta la luce e l’oscurità del cielo e dell’esistenza, la tenerezza e il sentimento che coesistono con la durezza e la crudeltà. Salgado è andato a cercare un angolo dimenticato delle Americhe, erigendolo a prisma attraverso il quale può essere osservato il continente nel suo complesso.” La mostra è accompagnata da un libro pubblicato da Contrasto.

Sebastião Ribeiro Salgado nasce l’8 febbraio 1944 ad Aimorés, nello stato di Minas Gerais, in Brasile. A 16 anni si trasferisce nella vicina Vitoria, dove finisce le scuole superiori e intraprende gli studi universitari. Nel 1967 sposa Lélia Deluiz Wanick. Dopo ulteriori studi a San Paolo, i due si trasferiscono prima a Parigi e quindi a Londra, dove Sebastião lavora come economista per l’Organizzazione Internazionale per il Caffè. Nel 1973 torna insieme alla moglie a Parigi per intraprendere la carriera di fotografo. Lavorando prima come freelance e poi per le agenzie fotografiche Sygma, Gamma e Magnum, per creare poi insieme a Lèlia la agenzia Amzonas Images, Sebastião viaggia molto, occupandosi prima degli indios e dei contadini dell’America Latina, quindi della carestia in Africa verso la metà degli anni Ottanta. Queste immagini confluiscono nei suoi primi libri. Tra il 1986 e il 2001 si dedica principalmente a due progetti. Prima documenta la fine della manodopera industriale su larga scala nel libro La mano dell’uomo, (Contrasto, 1994) e nelle mostre che ne accompagnano l’uscita (presentata in 7 diverse città italiane). Quindi documenta l’umanità in movimento, non solo profughi e rifugiati, ma anche i migranti verso le immense megalopoli del Terzo Mondo, in due libri di grande successo: In cammino e Ritratti di bambini in cammino.

Commento di Cristina Rossello: “La forza delle immagini di questo importante fotografo che ben sa cogliere l’isolamento e allo stesso tempo far emergere contraddizioni e trasformarle in emozioni sospese. Una mostra che sigilla il legame con le radici, legame che a distanza di tanti anni ha portato lui e la moglie a creare in Brasile l’Instituto Terra (esattamente nella sua città nello stato di Minas Gerais), con il quale hanno voluto riconvertire parte della foresta equatoriale – minacciata di estinzione – dove è stata creata una nuova zona verde con migliaia di nuovi alberi.”

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