«Nevermore, nevermore» – Mai più, mai più – ripeteva gracchiando cupamente il corvodi Edgar Allan Poe all’uomo che con angosciosa insistenza lo martellava di domande, quasi l’animale avesse conoscenze surnaturali, e la sua voce, dal suono così simile alla pronunzia della locuzione inglese, “nevermore”, fosse davvero in grado di rivelare l’inconoscibile, da quel profondo dell’al di là che aveva inghiottito la perduta Leonore, l’amata compagna di quell’uomo. Penetrato all’interno della casa, come una presenza arcana, il volatile si posava su un busto di Pallade Athena che ornava il sopraporta di una stanza, forse la biblioteca, e da lì, da quel nobile ed elevato trespolo, fissava il deuteragonista maschile del racconto provocandone un trasalimento quasi mortale, così come è figurato nell’ incisione di Gustave Doré, nell’edizione del poemetto dello scrittore americano preziosamente illustrata nel 1883.
2-5 – Gustave Doré, Illustrazioni per Il corvodi E. A. Poe, (1883)
Ma anche Edouard Manet aveva realizzato disegni per Il corvo, quando nel 1875 il poemetto era stato tradotto in francese da Stéphane Mallarmé. E le litografie che componevano le sue illustrazioni adottavano il nero à platdella livrea del lugubre pennuto per stendere tra le pagine del testo macchie figurate e parlanti, di una sinistra, pungente eleganza nipponica.
7-9 – Edouard Manet, Illustrazioni per Il corvo di Edgar Allan Poe, (1875)
Il Tempo che tutto trasforma e divora è uno dei protagonisti evocati con forza sotterranea da Edgar Allan Poe ne Il corvo, elemento sottolineato da Gustave Doré in una sua illustrazione per il poemetto, quella con la morte (o Crono?) assisa sul globo del mondo, con la falce tra le mani. Ma, un’altra possibile lettura per l’ allucinazione fantastica di Poe, insiste sul tema della inutilità della conoscenza, a fronte degli interrogativi senza risposta che da sempre ci attanagliano. Tutta la sapienza del mondo non vale a disvelare il mistero della morte, e a consolare per la mancanza, l’inevitabile perdita, insita nell’esperienza della vita stessa.
E il fraintendimento, l’incomprensione, la paura e finanche il terrore volteggiano come ombre lugubri e nere proprio a fianco della luce dell’intelletto, oscurandone la tanto idolatrata chiarezza: il corvo si posa sul busto di Pallade Athena e vi proietta la sua ombra nefasta.
Abbiamo scelto l’ex libris creato da Edouard Manet (1832-1883), dall’edizione francese del poemetto di Poe nella traduzione di Stéphan Mallarmé, per introdurre un breve excursussul tema di tali icone di possesso, espressione di un’identità forte, pubblica o privata. Poiché gli ex libris, a dispetto dell’impronta assertiva di proprietà e di rango che denotano, sono segni mutevoli e cangianti nel corso del tempo che tutto divora: perché è una vera e propria foresta di ex libris, quella che – con le parole di Mario Praz dedicate al concettismo degli emblemi, delle imprese, degli epigrammi cinque e seicenteschi – “dorme nelle antiche biblioteche d’Europa, specialmente in quelle d’origine ecclesiastica”, e che ci appare come “una vasta letteratura di libri figurati ora non mai consultati …”.
La locuzione latina ex libris (“dai libri di”) indica quella iscrizione, o timbro, o immagine a stampa usata come contrassegno per attestare l’appartenenza di un manoscritto o di un libro ad una determinata raccolta libraria. Sia che appaia come nota di possesso, sotto forma di emblema araldico, o di concettosa impresa – nell’unione irrelata di corpo e anima, tra un’immagine e un motto – l’ex libris esprime una connotazione storica assai importante. Esso sigla una relazione complessa: quella tra il libro e l’orizzonte culturale che esso sottende, il suo possessore – sia esso persona fisica o un ente – e la comunità cui questi appartenga e con la quale condivida idealmente il patrimonio culturale di cui lo stesso libro è espressione. Del pari, l’ex libris accomuna l’ipotetico documento oggetto del nostro interesse con tutti gli altri documenti che si trovano riuniti in una medesima raccolta, stabilendo una sorta di parentela o familiarità estesa che discende dall’autorità del possessore su tutti i documenti da questi collezionati, raccolti in un insieme storicamente caratterizzato e determinato.
In principio si trattò di note manoscritte sulla pergamena o sulla carta, inscritte su codici antichi o medioevali, per registrare la appartenenza di preziosi manoscritti a biblioteche di ordini monastici, università, enti cittadini, raccolte principesche, o a quelle di autorevoli singoli bibliofili. In seguito alla scoperta della stampa si diffuse l’uso di incollare entro il volume, in genere su carte di guardia o controguardia, un timbro impresso o un foglietto inciso a contrassegno per identificare il singolo volume come facente parte delcorpusdi una biblioteca, pubblica o privata.
Per comprendere la straordinaria ricchezza di questo mondo segreto fatto di figure, simboli e cifre, tale da svelarci tracce singolari dalla dimensione profonda del passato, si guardi la pagina online dell’ “Archivio dei possessori” dei libri confluiti nelle raccolte della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia (https://marciana.venezia.sbn.it/la-biblioteca/cataloghi/archivio-possessori).
Tra i primi ex librisdopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili (1455) e databile tra il 1470 e il 1480, si annovera quello xilografico (stampa da matrice lignea) di Hans Knabensberg, cappellano della famiglia Schonstett, che reca l’iscrizione “Hanns Igler das dich ein Igel küss”. Hans Knabensberg, che nell’ex libris adotta l’emblema di un riccio (Igler), promette un bacio spinoso a chiunque attenti alla proprietà del suo prezioso incunabolo. Molte delle iscrizioni che corredano i primi ex libris contengono infatti messaggi più o meno velati di messa in guardia nei confronti di possibili sottrazioni dei manoscritti e dei libri al legittimo proprietario.
Tra i primi ex-librisitaliani a stampa si suole indicare quelli, eseguiti con tecnica xilografica, del monsignor Cesare dei conti di Gambara vescovo di Tortona, e del giureconsulto Niccolò Pilli di Pistoia, entrambi risalenti alla metà del XVI secolo. La tipicità di tali figurazioni, centrate quasi solo sul motivo araldico, sancisce una certa fissità dell’immagine, che comunque si apre ad invenzioni più suggestive e singolari se affidate alla autorità di un artista, di un sensibile interprete dei segni, in grado di conferire anche alla citazione obbligata di scudi e armi caratteri di assoluta originalità e distinzione.
Si osservi ad esempio l’ex libris di Christoph Scheurl, attribuito a Lucas Cranach il vecchio (Kronach, 1472-Weimar 1553), del principio del XVI secolo, in cui le armi degli Scheurl e dei Tucher sono esibite da un personaggio femminile elegantemente abbigliato e con copricapo multi-piumato: le braccia della dama terminano nella fioritura dei due rami della famiglia, congiunti nella sua figura. L’iscrizione recita: “HIC SCHEURLINA SIMUL TUCHERINAQ, SIGNA REFULGENT QUE DOCTOR GEMINI SCHEURLE PARENTIS HABES”, (qui rifulgono le insegne degli scheurl e dei tucher che tu dottor scheurl hai ricevuto dai tuoi genitori).
Si deve invece a Wolf Traut (Norimberga, 1481-1520) una diversa presentazione dei medesimi elementi araldici in un altro ex librisdi Cristoph Scheurl, dove la figura femminile appare panneggiata all’antica e ha la chioma tesa nell’aria, quasi una rappresentazione della Fortuna, in atto di abbracciare entrambi i rami della famiglia, sotto il vessillo di un’aquila a doppia testa e con un cagnolino acciambellato ai suoi piedi. In realtà, è più che plausibile che la sua figura riprenda il modello femminile del Trionfo di Galateadagli affreschi di Raffaello presso la villa del banchiere Agostino Chigi, progettata da Baldassarre Peruzzi, la “Farnesina” a Roma, testimoniando di come la circolazione dei modelli rinascimentali affidata proprio alle incisioni rifluisse anche nelle creazioni “minori” degli ex libris. Tra le due figure femminili infatti è del tutto simile, non solo la chioma che svolazza fluente nell’aria, ma anche il punto di vista di sott’in su del capo, la rotondità delle forme, dai morbidi, classici, monumentali, profili.
Gli ex librisdi uno stesso possessore dunque possono mutare veste, e arricchirsi di impronte particolari del gusto che con gli anni, anche nella stessa vita di un uomo, si trasformano restando impigliate nei simboli scelti, nella stessa grafia delle immagini.
Il cambiamento registrato nel secondo ex librisdi Cristoph Scheurl interpreta quella mutazione di sensibilità pienamente filo-rinascimentale introdotta in campo grafico e pittorico nel mondo nordico da Albrecht Dürer (1471-1528).
Si osservi ad esempio l’ex libris da lui concepito nel 1516 per Jeronimus Ebner, quando, nel primo quarto del Cinquecento – tornato dal viaggio di studio tra Padova e Venezia, in cui era venuto in contatto con il mondo rinascimentale del nord-est della penisola – il grande artista di Norimberga darà vita a composizioni in cui il carattere teutonico dei simboli feudali si unirà mirabilmente ai motivi classici di cornucopie, putti, tritoni, ghirlande, in una nuova compagine, frutto di una crasi fantastica, restituita dalla sua straordinaria perizia di incisore.
Il motto che completa l’ex libris perfeziona il messaggio insito nella figurazione: rassicura sul timor deidel proprietario, quasi si dovesse porre il libro – strumento di sapere elitario – sotto il segno protettivo della divinità, piuttosto che lasciarlo aperto alle insinuazioni del demonio, sempre in agguato, si sa, nella spinta alla conoscenza. Dio è il mio rifugio, Il timore di Dio è l’inizio di ogni sapienza: queste le asserzioni di fede che accompagnano le esibizioni d’onore e di possesso che famiglie e casate illustri disseminano ovunque, fin nello spazio segreto della controguardia dei volumi delle proprie biblioteche.
Lo studio è stato commissionato da R.F.O. di Cristina Rossello