RUTH ORKIN: FOTOGRAFA LEGGENDARIA

Fino al 2 maggio 2022, i Musei Civici di Bassano del Grappa (VI) propongono la prima retrospettiva italiana di Ruth Orkin (1921-1985), leggendaria figura di fotoreporter ma anche cineasta americana, autrice del lungometraggio indipendente “Little Fugitive”, realizzato assieme al marito Morris Engel, premiato con il Leone d’Argento al Festival di Venezia del 1953.

L’opera di Orkin arriva in Italia in concomitanza del centenario della nascita della fotografa (1921), da poco omaggiata di una retrospettiva a New York e Toronto e da una monografia di Hatije&Cantz. Dopo Bassano (unica tappa italiana), l’antologica, realizzata assieme a DiChroma Photography, inizierà un tour europeo ed è attesa a San Sebastian, in Spagna, e a Cascais, in Portogallo.

Le immagini di Ruth Orkin sono delle intense interpretazioni, qualunque sia il soggetto del suo sguardo: personaggi illustri del mondo hollywoodiano o newyorchese – come Robert Capa, Lauren Bacall, Albert Einstein o Woody Allen – o situazioni di vita straordinariamente ordinaria. Emblematiche le sue immagini riprese perpendicolarmente dalla finestra del suo appartamento sul Central Park o la celeberrima “American Girl in Italy”, icona della fotografia del Novecento che ha il primato di essere il secondo poster più venduto al mondo e che ancora oggi, al tempo del “mee too”, sollecita accese discussioni sul tema del sessismo.

Ruth Orkin, Jinx at AMEX, Florence, 1951 © Ruth Orkin Photo Archive

La bella Nina Lee Craig, studentessa statunitense di storia dell’arte che la Orkin aveva conosciuto al rientro da un reportage in Israele, diviene la protagonista di una sequenza di immagini scattate per le strade di Firenze che racconta l’esperienza di una giovane americana in viaggio nell’Italia del dopoguerra. In questi scatti permeati dall’atmosfera dei film americani degli anni Cinquanta, “Vacanze romane” in primis, la Orkin dimostra non solo di saper cogliere col suo obbiettivo situazioni potentemente iconiche, emblematiche, intriganti, ma di saper fare di queste immagini i lemmi di un racconto potentemente evocativo. Tanto negli scatti singoli quanto nei lavori composti da sequenze di fotogrammi, Orkin dà vita a veri e propri storytelling, dando prova di saper trasformare un “semplice” ritratto o un paesaggio urbano, sia esso di New York, di Roma o Venezia, in un racconto in cui luoghi e persone si rispecchiano l’uno nell’altro.

Il mondo del Cinema era del resto un luogo familiare a Ruth Orkin. Figlia d’arte, Ruth crebbe nella Hollywood degli anni d’oro, il secondo e terzo decennio del Novecento, da Mary Ruby, un’intensa interprete del muto. A dieci anni ebbe tra le mani la prima macchina fotografica, una Univex costata 39 centesimi, donatale per il suo compleanno. Dotata di un’indole avventurosa, ancora giovanissima parte in sella alla sua bici da Los Angeles per raggiungere New York e visitare l’Expo del 1939, registrando in suggestive immagini luoghi e persone incontrati in questo lungo e solitario viaggio.

Dopo aver sognato di diventare regista per la MGM, professione allora preclusa alle donne, Orkin si trasferisce a New York nel 1943 lavorando come fotografa in un locale notturno. Negli anni Quaranta scatta per i maggiori magazine del tempo come LIFE, Look, Laydies Home Journal divenendo una delle firme femminili più importanti della fotografia. Documenta inoltre il Tanglewood Music Festival – dove incontra Leonard Bernstein, Isaac Stern, Aaron Copland e molti altri. Nel ‘47 pubblica per il magazine “Look” la sequenza di scatti “Jimmy the Storyteller”. Appassionata di musica e di cinema ne immortala i protagonisti in ritratti vividi e straordinariamente intensi, ma rivolge la sua attenzione anche ad altri personaggi del jet set internazionale.

Nel 1951 “LIFE” le commissiona un reportage in Israele. Dalla successiva visita a Firenze nasce la citata “American Girl in Italy”. Poi l’adesione alla Photo League nel 1952, il matrimonio con Engel e la realizzazione di alcuni lungometraggi come “Little Fugitive” nominato agli Oscar per la migliore sceneggiatura. Una carriera di successo nella quale, accanto ai lavori per il New York Times e altre testate, Orkin continua il suo personale viaggio nella quotidianità dando vita a progetti originalissimi come “A World Outside My Window”, pubblicato nel ’78, con il quale racconta semplicemente ciò che scorre sotto le finestre di casa sua.

Ruth Orkin, Penn Station, boys on suitcase, NYC, 1948 © Ruth Orkin Photo Archive

L’opinione di Cristina Rossello: “Le immagini di questa artista nella loro forza descrittiva, per l’appunto quasi cinematografica, fanno di lei una delle artiste più intriganti e interessanti del secolo scorso.”

 

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