Scilla e Cariddi, nella mitologia greca, due mostri immortali e irresistibili che assediavano le strette acque attraversate dall’eroe Ulisse nel suo peregrinare descritto nell’Odissea di Omero, Libro XII. Successivamente furono localizzati nello Stretto di Messina.
Scilla era una creatura femminile soprannaturale, con 12 piedi e sei teste su lunghi colli di serpente, ciascuna testa aveva una tripla fila di denti simili a quelli di uno squalo, mentre i suoi lombi erano cinti dalle teste di cani che abbaiavano. Dalla sua tana in una grotta divorava qualunque cosa si avventurasse a portata di mano, compresi sei compagni di Ulisse. Nelle Metamorfosi di Ovidio, Libri XIII-XIV, si dice che fosse originariamente di aspetto umano ma trasformata per gelosia attraverso la stregoneria di Circe nella sua forma spaventosa. A volte veniva identificata con la Scilla che tradì suo padre, il re Niso di Megara, per amore di Minosse, re di Creta.
Cariddi, che si nascondeva sotto un fico a un tiro d’arco sulla sponda opposta, beveva ed eruttava acque tre volte al giorno ed era fatale per la navigazione. Il suo personaggio era molto probabilmente la personificazione di un vortice. Il naufrago Ulisse sfuggì a malapena alle sue grinfie aggrappandosi a un albero finché la zattera improvvisata che aveva ingoiato galleggiò di nuovo in superficie dopo molte ore. Scilla veniva spesso razionalizzata nell’antichità come una roccia o una scogliera. Sia Scilla che Cariddi diedero un’espressione poetica ai pericoli che affrontavano i marinai greci quando si avventurarono per la prima volta nelle acque inesplorate del Mediterraneo occidentale.
Tornando al libro XII Ulisse racconta ai Feaci il viaggio straziante che lui e il suo equipaggio hanno affrontato mentre cercavano di ritrovare la strada di casa, compresi i loro incontri con i mangiatori di loto, i Lestrigoni e la maga Circe, la loro fuga dalla grotta di il ciclope Polifemo, la loro dura navigazione tra Scilla e Cariddi e il naufragio finale in cui Ulisse viene portato a riva nella sola Ogigia.
Lo stretto di Messina
Lo stretto era molto temuto dai marinai nell’antichità, principalmente a causa delle rocce e dei vortici conosciuti come Scilla e Cariddi, che nella mitologia greca erano personificati come mostri femminili come abbiamo sopra descritto. Le correnti dello stretto presentano infatti notevoli difficoltà. La corrente principale va da sud a nord, ma una corrente sussidiaria scorre nella direzione opposta. Il frequente avvistamento di un miraggio, chiamato Fata Morgana, consistente in un’apparente allungamento verticale di un oggetto sulla riva, contribuì a mantenere le leggende dello stretto.
Commento di Cristina Rossello: Lo stretto di Messina è un argomento che ci riguarda oggi ancora di più, per i motivi noti a tutti, ma è interessante ricordare che i porti principali lungo le sponde panoramiche dello stretto sono Messina e Reggio di Calabria. Le due regioni costiere, Sicilia e Calabria, sono note per i resti archeologici e le località turistiche che rappresentano un importante patrimonio italiano che merita essere condiviso in tutto il mondo. Le due guardiane, Scilla in terra calabra, in corrispondenza del promontorio Scilleo, Cariddi a distanza di un dardo, in terra sicula come altre creature dei tempi antichi, non sono più lo specchio di reali pericoli e prove per eroi.