CRISTINA ROSSELLO E IL DIRITTO DI FAMIGLIA: LE LINEE GUIDA IN 6 PUNTATE (4a)

Cristina Rossello
Avv. On.le Cristina Rossello

Parlando di divorzi, esiste ancora o no in Italia il mantenimento del tenore di vita goduto durante il matrimonio?

Il divorzio determina la cessazione degli effetti civili del matrimonio: recide ogni legame tra i due soggetti, anche quelli rimasti durante la separazione, e mantiene i vincoli economici, per i quali residua un mero vincolo di solidarietà post-coniugale, che, a sua volta, deve trovare adeguata regolamentazione.

L’art. 5, comma 6, della Legge n. 898/1970 stabilisce che con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio il Tribunale dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno, quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione che ha condotto al procedimento di divorzio, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio individuale o comune, del reddito di entrambi, valutando tali elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.

L’art. 5, comma 6, L. 898/70 non fornisce il parametro in base al quale attuare la divisione del patrimonio né la determinazione dell’assegno di mantenimento, poiché è stabilito per legge dal regime patrimoniale scelto (il reddito ed il patrimonio comune vanno divisi equamente in caso di comunione dei beni o in base agli accordi scelti con gli altri regimi), ma stabilisce il dovere di verificare se l’apporto dei coniugi sia stato equilibrato o meno, se i coniugi abbiano avuto, nel matrimonio, l’opportunità paritetica di sviluppare ognuno al meglio le proprie capacità o se vi siano state disparità che hanno avvantaggiato uno dei due a discapito dell’altro nell’ottica di un “bene comune”.

Il legislatore ha stabilito una serie di criteri che il Giudice, unitamente alla durata del matrimonio, deve valutare al fine di compensare correttamente tale squilibrio dal punto di vista patrimoniale. In particolare è necessario valutare tra l’altro l’apporto dato alla costruzione del patrimonio familiare e di ciascuno.

La giurisprudenza ha progressivamente colto diverse sfaccettature dei criteri previsti dal legislatore fin dal 1970, anche alla luce dei diversi mutamenti sociali.
La giurisprudenza ha sempre ritenuto che il parametro di riferimento cui rapportare “l’adeguatezza” o meno dei “mezzi” fosse rappresentato dal «tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio» (Cass. n. 173341/1978, Cass. n. 4955/1989, Cass. n. 11686/2013, Cass. n. 11870/2015).

Nel 2017 la Suprema Corte ha abbandonato il criterio di adeguamento dell’assegno divorzile al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Cass. Civ., sentenza n. 11504/2017) sancendo il principio dell’autoresponsabilità, secondo cui l’assegno va più calcolato sulla base dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge, poiché “si deve superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come una sistemazione definitiva”.

In particolare, con la sentenza n. 11504/2017 è stato indicato come nuovo criterio di spettanza dell’assegno divorzile «l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede», in linea con la natura «assistenziale» dell’assegno stesso.

Estinto il rapporto matrimoniale, il diritto all’assegno di divorzio può essere riconosciuto solo dopo che sia accertata giudizialmente la mancanza di «mezzi adeguati» dell’ex coniuge richiedente o, comunque, dell’impossibilità dello stesso «di procurarseli per ragioni oggettive». Questo accertamento deve passare necessariamente attraverso due fasi:

1. eventuale riconoscimento del diritto (fase dell’an debeatur).

In tale fase, fondata sul principio dell’«autoresponsabilità economica» di ciascuno degli ex coniugi quali «persone 18

singole» e il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento della spettanza dell’assegno di divorzio – il giudice deve verificare se la domanda del coniuge soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di «mezzi adeguati» o, comunque, impossibilità «di procurarseli per ragioni oggettive»), con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica, desunta dai principali “indici” (cfr. infra), sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio;

2. una volta che il diritto all’assegno di divorzio è riconosciuto alla “persona” dell’ex coniuge nella fase dell’an debeatur, si procede a determinarne l’ammontare, non già «in ragione» bensì «in considerazione» del rapporto matrimoniale (fase del quantum debeatur). In tale fase – fondata sul principio della «solidarietà economica» dell’obbligato nei confronti dell’altro in quanto «persona» economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.) e il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell’assegno – il giudice deve «tener conto» di tutti gli elementi indicati dall’art. 5, comma 6, della Legge n. 898/1970 («[….] condizioni dei coniugi, [….] ragioni della decisione, [….] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, [….] reddito di entrambi [….]»), e “valutare” «tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», sempre sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte.

Il diritto condizionato all’assegno di divorzio ha fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di «solidarietà economica» (art. 2 Cost.) a carico di entrambi gli ex coniugi, quali “persone singole”, a tutela della “persona” economicamente più debole (c.d. “solidarietà post-coniugale”) che giustifica la doverosità della sua «prestazione» (art. 23 Cost.).

Il vecchio parametro: il tenore di vita.
La Corte di cassazione, quando accenna al consolidato parametro di riferimento al quale rapportare l’«adeguatezza-inadeguatezza» dei «mezzi» del richiedente, richiama i precedenti giurisprudenziali che, dal 1990 in poi, hanno costantemente rinviato al «tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio». La Corte enuncia quindi che tale orientamento non è più attuale e condivisibile, poiché – di fatto – determina una sorta di indebita “ultrattività” del vincolo matrimoniale.
La Corte sancisce invece che il diritto all’assegno di divorzio è riconosciuto al richiedente come “persona singola” e non già come  (ancora) “parte” di un rapporto matrimoniale ormai estinto, pure sotto il profilo economico-patrimoniale, abbandonando così la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come “sistemazione definitiva”.

La «vecchia» interpretazione delle norme sull’assegno divorzile:
– produce l’effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti economico-patrimoniali del vincolo coniugale;
– ostacola la costituzione di una nuova famiglia successivamente alla disgregazione del primo gruppo familiare, in violazione di un diritto fondamentale dell’individuo che è ricompreso tra quelli riconosciuti dalla CEDU e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Sotto il profilo processuale, secondo la Corte, l’applicazione del «vecchio» parametro del «tenore di vita» comporta altresì un’inammissibile commistione tra le fasi dell’an e del quantum debeatur.
Il nuovo parametro: indipendenza economica e autosufficienza. L’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divorzile non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento della indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile: se è accertato che il richiedente è  “economicamente indipendente” o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto.

La Cassazione pone in luce la vera portata del concetto del principio di “autoresponsabilità”, precisando che il divorzio segue normalmente la separazione personale ed è frutto di scelte definitive che ineriscono alla dimensione della libertà della persona ed implicano per ciò stesso l’accettazione da parte di ciascuno degli ex coniugi delle relative conseguenze, anche economiche.

Questo principio, inoltre, appartiene al contesto giuridico europeo. In questa prospettiva, il parametro della “indipendenza economica” è equivalente a quello di “autosufficienza economica”.
I principali “indici” per accertare la sussistenza dell’«indipendenza economica» e, quindi, l’«adeguatezza dei mezzi», nonché la possibilità «per ragioni oggettive» di procurarseli, possono essere così individuati:

  1. il possesso di redditi di qualsiasi specie;
  2. il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza («dimora abituale»: art. 43, secondo comma, c.c.) della persona che richiede l’assegno;
  3. le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;

4. la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

Al coniuge richiedente l’assegno incombe l’onere di provare la non «indipendenza economica» mediante tempestive, rituali e compiute allegazioni e dimostrazioni di «non avere mezzi adeguati» e di «non poterseli procurare per ragioni oggettive».
Il 10 aprile 2018, il Procuratore Generale della Cassazione ha chiesto alle Sezioni Unite della Suprema Corte di esprimersi sulla nuova interpretazione offerta dal concetto di «non indipendenza economica».
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono dunque intervenute (Cass., SS.UU., sent. n. 18287/2018): «Posto che l’assegno divorzile svolge una funzione non solo assistenziale, ma in pari misura anche perequativa e compensativa, continuando ad operare i principi di eguaglianza e di solidarietà di cui agli art. 2 e 29 Cost., e che il diritto al riguardo del richiedente va accertato unitariamente, senza una rigida contrapposizione tra la fase attributiva (an debeatur) e quella determinativa (quantum debeatur), il giudice:

a) procede, anche a mezzo dell’esercizio dei poteri ufficiosi, alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti;

b) qualora ne risulti l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o comunque l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dall’art. 5, comma 6, prima parte, l. n. 898 del 1970, e in particolare se quella sperequazione sia o meno la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all’età dello stesso e alla durata del matrimonio;

c) quantifica l’assegno senza rapportarlo né al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato».

Le Sezioni Unite hanno definitivamente «archiviato» il criterio del tenore di vita, con ciò proseguendo sul cammino della sentenza n. 11504/2017, e hanno fatto salvo il principio della «autoresponsabilità di ciascuno degli ex coniugi», stabilendo «la preminenza della funzione equilibratrice-perequativa dell’assegno di divorzio».

Per l’effetto, il Giudice di merito deve accertare se l’eventuale condizione di squilibrio economico-patrimoniale sia da ricondurre alle scelte comuni e ai ruoli vissuti nella vita familiare, dal momento che «la funzione equilibratrice dell’assegno non è finalizzata alla  ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma, soltanto, al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex più debole, alla realizzazione della situazione comparativa attuale». All’indomani della sentenza n. 18287/2018, la Cassazione ha proseguito su questa linea. Da ultimo, con ordinanza n. 27948/2022, ha ribadito il carattere assistenziale e in pari misura perequativo-compensativo dell’assegno divorzile.

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